Il triplice fischio di Gil Manzano nella fredda notte di Leverkusen ci ha garantito un posto a Euro2024, dove andremo a difendere il titolo vinto nel 2021. Le parole del presidente Gravina riguardo il traguardo raggiunto, la fierezza di “aver mantenuto la promessa” evidenziano l’importanza di tale qualificazione. Quello che dovrebbe essere un normalissimo passaggio della storia del nostro calcio, siamo riusciti a farlo diventare un evento. “Per andare avanti bisogna lasciar perdere i vecchi ricordi” cosi cantavano i Pinguini Tattici Nucleari. Ed è proprio questo che ha limitato la nazionale in questo ultimo periodo storico. La costante ricerca del riscatto piuttosto che una radicale rivoluzione. L’arrivo di Mancini coincide con il momento più buio della storia calcistica del Bel paese. Il tecnico marchigiano arrivò dopo la mancata qualificazione contro la Svezia e nel corso del suo mandato ha sempre manifestato la sua piena fiducia e speranza in un sistema che sembrava destinato al costante deterioramento. Il magico viaggio di Euro2020, trenta giorni indimenticabili culminati con la magica notte di Wembley quando diventammo campioni d’Europa per la seconda volta nella nostra storia. Però anche le migliori imprese, le vittorie più belle, sono destinate a esser presto dimenticate al netto di eventi di portata simile. La mancata qualificazione al mondiale in Qatar ha concluso indirettamente l’esperienza di Mancini sulla panchina dell’Italia. La scelta di tentare il riscatto ripartendo dagli uomini cardine, terminata con le improvvise dimissioni ad agosto, direzione Arabia Saudita. La ricerca frenetica di una figura che risollevi la baracca, destinata a un crollo vertiginoso.
Luciano Spalletti è l’uomo giusto al momento giusto
Uno scudetto che mancava da più di trent’anni, una vittoria schiacciante dopo una stagione leggendaria. Spalletti a Napoli ha compiuto una vera e propria impresa sportiva, destinata a rimanere negli annali del calcio italiano e del club partenopeo. La costante ricerca della perfezione, il raggiungimento di grandi traguardi attraverso solidi principi di gioco e l’entusiasmo di competere per palcoscenici importanti. Tutte variabili utili nell’inquadrare al meglio il tecnico di Certaldo. L’annuncio delle dimissioni dopo la conquista dello scudetto sembravano la chiusura di un cerchio. La sensazione di aver raggiunto il massimo in relazione alla dimensione e alle caratteristiche di quella rosa. Per Spalletti però arriva la panchina più ambita da tutti gli allenatori: Gravina decide di designarlo come commissario tecnico della nazionale in seguito alle dimissioni di Mancini.
“Sacrificio, dedizione e appartenenza”. Queste le prime parole di Spalletti alla conferenza di presentazione, dove non fa mai mancare la sua solita retorica filosofica. Dopo i quattro punti nelle prime tre partite -con il pareggio in Macedonia, la vittoria a Milano contro l’Ucraina e la sconfitta contro l’Inghilterra- l’Italia arriva al rush finale con la qualificazione matematica a soli quattro punti. Spalletti dirama i convocati il 10 novembre, e tra i nomi non figura Ciro Immobile che fino ad allora era stato pressoché insostituibile. Vengono convocati Buongiorno, Colpani, Kean, El Shaarawy, Cambiaso, Jorginho, Darmian ecc., il giusto premio al grande avvio di stagione che stanno vivendo i giocatori azzurri nei loro rispettivi club. La vittoria contro la Macedonia all’Olimpico, oltre a consegnarci il -purtroppo- solito spavento di beffa da parte dei macedoni, ci permette di arrivare allo scontro diretto con l’Ucraina con due risultati su tre. Nella notte dell’Olimpico oltre i cinque gol e una grande prestazione collettiva degli azzurri bisogna evidenziare la super prestazione di Chiesa, la scelta azzeccata di Spalletti di usare un centravanti di manovra come Raspadori piuttosto che Scamacca. A Leverkusen gli azzurri giocano a viso aperto, soffrendo al punto giusto ma dimostrando grande abnegazione e grande sacrificio e al triplice fischio di Gil Manzano festeggiano l’accesso a Euro2024, scacciando tutti i fantasmi degli ultimi due anni.
C’è tanto merito di Spalletti in questa qualificazione. In soli due mesi il commissario tecnico è riuscito a invertire la rotta con i suoi solidi principi di gioco. Ciò che colpisce di queste ultime apparizioni dell’Italia è l’abnegazione generale di tutti i giocatori, oltre le mosse tattiche -come da tradizione spallettiana- imprevedibili (come l’accentramento di Dimarco e Frattesi trequartista atipico). Le continue apparizioni in tribuna durante le varie giornate di Serie A, le visite ai centri sportivi di Juventus, Frosinone ecc. Spalletti ha capito l’antifona già dal momento in cui ha firmato il contratto e ha deciso di ripartire da zero. Le convocazioni sono basate interamente sulle prestazioni individuali e sulla forma fisica dei singoli giocatori. L’esempio lampante è la convocazione, e ancor di più la super prestazione contro l’Ucraina, di Alessandro Buongiorno. Un altro dato che balza all’occhio è la difesa disegnata da Spalletti a Leverkusen: Di Lorenzo, Buongiorno, Acerbi, Dimarco. I due difensori centrali mancini, abituati a giocare in un contesto totalmente differente come la difesa a tre di Inzaghi e Juric sono stati i migliori in campo, insieme a un Chiesa in forma smagliante. Spalletti ha trasformato la sua Italia in un vero e proprio club. I giocatori si adattano al contesto tattico e sopratutto ai principi dettati dall’allenatore e i risultati si cominciano a vedere anche sul campo. “Bisogna tornare a far emozionare gli italiani” recitava Spalletti nella sua prima conferenza. Con la qualificazione acquisita, in attesa del sorteggio del 2 dicembre, in questi mesi di preparazione all’europeo il tecnico di Certaldo potrà scegliere accuratamente chi convocare in vista della spedizione in terra tedesca, dove storicamente l’Italia ha trionfato in passato, ma quella è un’altra -bellissima- storia…